domenica 8 febbraio 2009

Ma chi muore non va in una vita migliore?


È peccato morire. Ma c’è chi muore. I morti sono tanti. Più sono i morti che i vivi. C’è chi muore dalla fame, c’è chi muore dalla sete, c’è chi muore sotto le bombe, c’è chi muore dal ridere, c’è chi muore sopra una prostituta, c’è chi morirebbe nelle camere a gas. Il condizionale è d’obbligo perché ancora c’è chi, anche tra accademici, intellettuali, filosofi, professori, politici e personalità religiose, nega l’esistenza delle macchine di sterminio dell’umanità chiedendo le prove. I lager di Auschwitz Birkenau, Dachau, Treblinka, Mauthausen, per i negazionisti, erano gioiosi villaggi turistici per ebrei, zingari e oppositori di regime.
Si muore. Ma chi ha il diritto di decidere sulla vita e sulla morte? Chi ha il diritto di dire: tu puoi morire e tu no? Chi ha il diritto di decidere se sia giusto che un popolo muoia sotto le bombe o nei villaggi turistici? Chi ha il diritto di decidere che si può salvare una vita già nel baratro della morte? Chi ha il diritto di decidere se un corpo morto abbia ancora in sé il soffio vitale? Chi ha il diritto di entrare nei sentimenti di un genitore e sostenere che non ha un cuore perché sta uccidendo una figlia che secondo lui è morta già 15 anni fa?
C’è il diritto sacrosanto di parlare, straparlare, straripare, chiacchierare, pettegolare, cicalecciare, pontificare, ragionare, discutere, dibattere, approfondire, scandagliare con un esercito di telecamere nell’intimo di una famiglia distrutta da un dolore la cui ferocia si prova solo quando se ne è colpiti direttamente.
C’è il diritto al silenzio, al rispetto, alla comprensione, a farsi i fatti suoi (qualcuno direbbe “cazzi suoi” ma noi non arriviamo a scrivere simili volgarità).
C’è chi si chiede : ma quando si lascia l’esistenza terrena non si va in una vita migliore? Si dovrebbe essere contenti e invece si fa un gran casino. Forse perché non si è tanto convinti dell’ultraterreno? O forse perché di aldilà hanno originariamente parlato, già all’età della pietra, i becchini per crearsi un eterno mestiere?
Anche quando si è deceduti si deve salvare la vita ovunque essa si annidi, perché la morte può essere solo apparente. Una volta si era sicuri di morire. Ma con le attrezzature moderne di oggi non si muore più. C’è sempre un segnale acceso di speranza nelle macchine umane. Con una buona attrezzatura scientifica puoi campare in eterno, superando in vita anche chi affettuosamente ti assiste. Gli assistenti muoiono perché è naturale, mentre chi è collegato alle macchine resta in vita.
La tanto bistrattata tecnologia fa miracoli. Ma se la macchina riesce a mantenere l’uomo in vita, anche se al minimo delle potenzialità vitali, perché staccare la spina? E se la scienza e la medicina facessero un ulteriore passo in avanti nella guarigione di malattie ritenute letali?
Interrogativi terribili che hanno come un “effetto lavatrice” sulle coscienze di ognuno di noi, come nel caso clamoroso di Eluana Englaro che ha spaccato in due in Italia l’opinione pubblica. È un caso che ha formato schiere di moralisti e immoralisti, sicuristi e incertisti, puristi e crudisti, baristi e catechisti, gente sensibile come la vita e insensibile come la morte. Schiere di uomini e donne sul piede di guerra pronti a difendere a costo della vita i propri punti di vista, il proprio credo, le proprie ideologie, la propria morale.
“Mors tua vita mea” gridavano gli antichi saggi latini.
Questi ed altri grandi interrogativi, sulla vita e sulla morte, sulla gita e sulla sorte, sui tacchini e sui becchini, sugli equini e sui cretini, sono affrontati in modo arguto e sferzante dallo scrittore agrigentino Raimondo Moncada nel suo ultimo libro dal titolo “Ti tocca anche se ti tocca”, ormai di prossima uscita e che di sicuro dividerà l’opinione pubblica nazionale e internazionale tra colpevolisti e innocentisti, tra cestinisti e celibristi, tra punitivisti e premiatisti, tra gengivisti e dentisti.

iliubo

(© materiale originale, se adoperato al di fuori da questo blog riportare la dicitura: "autore iliubo - tratto da: www.iliubo.blogspot.com”)
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