sabato 10 gennaio 2015

Il mistero delle calze sparite dopo il lavaggio

Posso comprare sacchetti di calze, camion di calze, negozi di calze. E' inutile: si spaiano. Hanno il potere di spaiarsi. Dovrebbero inventare le calze monouso, come i rasoi: usa e  getta. Anche se poi va a finire che i rasoi li usi per più di una barba fino a quando non ti tagli. 
Diciamocela tutta: avviene alla fine così anche con le calze. Quando ti piacciono, quanto te ne innamori, quando ti tengono caldo e ti fanno fare bella figura per quel po' che la gente vede, le tieni non un giorno ma mesi. Non le togli neanche sotto tortura, neanche se ti regalassero un Tir di rasoi quadrilama con il Pronto Soccorso incorporato per medicare le ferite. 
Diciamocela ancora tutta: non togli le calze anche per l’innata paura di perderle.

Quando le indossi sono al sicuro. Quando le togli è finita. Gli dai il de profundis. Almeno una, una calza, non la trovi più. Si perde nel lavaggio, in lavatrice e anche nella bacinella quando le lavi a mano. E non dipende dall'età di chi le lava, dal sesso, dall'attenzione o anche dalla cultura. Le calze non si ritrovano più assieme. Una sparisce. 
Il tuo cervello impazzisce di domande. 
Perché questo divorzio? Stavano tanto bene insieme. Forse l'ho messa col piede sbagliato? Forse che il piede ha cominciato a esagerare col suo profumo maschile? Che fare?

Puoi solo coprire un piede con la calza superstite. L'altro piede lasciarlo ignudo a disperdere il proprio calore e il proprio profumo nell’aria gelida di gennaio. Il piede ignudo potrebbe essere coperto da un'altra calza appena lavata, di un altro colore, di un’altra forma, di un’altra consistenza, di un’altra coppia di calze. 
La domanda è: le due calze sconosciute e così diverse staranno mai bene assieme? 
Ho provato. Ci sono uscito per qualche giorno. Questa notte ci ho pure dormito. Il giorno della Befana mi sono svegliato con una sola calza. L’altra è sparita. Senza lavaggio. 


Raimondo Moncada

tratto dal blog www.raimondomoncada.blogspot.it 

Chiodo schiaccia e scaccia chiodo


Poveri chiodi. Soli, abbandonati, piantati. Con la testa battuta di qua e di là. 
Quando ne vedi uno, di solito neanche lo consideri. Neanche pensi di raccoglierlo, di tenerlo tra le mani, di stringerlo tra le braccia. Non ci pensi, non ci vuoi pensare, per non avere anche un chiodo fisso in testa in aggiunta ai chiodi che durante il giorno ti si conficcano nel cervello.   
Pensa la sofferenza, la solitudine. Neanche tra gli stessi chiodi c’è considerazione e solidarietà. Non si possono vedere, non si possono sopportare. Chiodo scaccia chiodo. Che brutta cosa. 
Almeno, se ne vedi a terra uno, non gli mettere il piede sopra. Non per evitare di vedertelo conficcare nella scarpa e non, quindi, per vederti trapassare il piede (e non è un trapassato remoto). Lascia che sia qualche altro chiodo a pensarci: chiodo schiaccia chiodo, come scarpa schiaccia scarpa. Come faccia, il chiodo, è un gran mistero. 
Solo il chiodo fisso rimane al proprio posto. 
Basta così. Non vorrei più continuare con le raccomandazioni. Non vorrei sembrare ossessivo battendo sempre sullo stesso chiodo.  


Raimondo Moncada 

tratto dal blog www.raimondomoncada.blogspot.it 

venerdì 9 gennaio 2015

Elezione del Presidente della Repubblica su Facebook con i "mi piace"


Il valore delle persone, delle loro azioni, delle loro opere, delle loro potenzialità, si misura ormai col numero dei "mi piace" su Facebook, dei retweet su Twitter e delle visualizzaIoni su YouTube. Si è innescata una sorta di mitizzazione e dipendenza. Dipendi dal cliccamento. Se ti cliccano vali qualcosa. Senza cliccamento non vali niente. Sei pari a zero. E ti devi ritirare. La tua bella faccia deve sparire dalla faccia della terra e dare così spazio alle altre facce più piacione . Non hai neanche il diritto di recriminare. 
Muto. Devi stare muto. Che ci fai più bella figura. 

Distinguiamo per non fare di tutto un cliccamento uno sfascio. C'è cliccamento e cliccamento, però. C'è il cliccamento sano, spontaneo, che viene dal cuore, non condizionato. E c'è anche il cliccamento di altro genere che sta prendendo piede e dita delle mani. 


Di questi tempi moderni, di socialità iper sviluppata, con i "mi piace", i retweet e le visualizzazioni vinci premi, vinci concorsi, vinci contratti. Si arriverà a vincere pure assunzioni, appalti e, perché no, anche l'elezione in parlamento, l'elezione a primo ministro o l'elezione diretta alla massima carica dello Stato. Superando il quorum stabilito dalla legge dei mi piace, possiamo salire al Quirinale e esercitare le funzioni del presidente della Repubblica. 

Il mi piace legittima. L'elezione 3 punto zero si potrebbe estendere anche per il futuro Papa. Ma c'è tempo. E poi ci sarebbe da connettere il sistema dei mi piace e delle visualizzazioni all'antico meccanismo del fumo.  

Ai mi piace (o ai "a me mi piace") ricorrono sempre di più organismi, enti, società ecc. di rilievo nazionale e popolare. 
Chi non si adegua alle nuove unità di misura, ai nuovi criteri oggettivi di valutazione, ai nuovi insindacabili requisiti di selezione, è perduto. 
Ed è giusto così. Bisogna seguire il trend. È fondamentale andare nella direzione dove vanno tutti in trend. Saliamo allora su questo trend. 
Basta un collegamento a Facebook, a Twitter, a YouTube ed è fatta. Non ci vuole arte né parte. Facile e di insignificante costo per la connessione (se hai un collegamento a un wi-fi di altri è gratis). Non devi compiere sforzi. Puoi scegliere chi vuoi. A occhi chiusi, turandoti il naso se ne hai uno (due se ne hai due). Non importa la qualità. Non importano le capacità. Non importa l'estetica. Non importa la profondità. I mi piace, così come il dilagato televoto, esprime la genuina voce del popolo sovrano.  

Vi voglio confidare un segreto. Mi raccomando: che rimanga tale! Se volete fare bella figura c'è un modo semplice semplice, anche se costa un po' di fatica alle dita della mano e alle sinapsi del cervello. Inviate agli amici e conoscenti o comunque ai vostri contatti un messaggio privato e pregateli e ripregateli ("Ti prego! Ti prego!") di mettere un bel mi piace a vostra sorella di ottant'anni che si presenta come Miss Bellezza in Divenire, un mi piace a vostro fratello rimandato dieci volte in seconda elementare che ha inviato un componimento lirico a un concorso universitario di poesie, a vostra cognata che partecipa al ripescaggio in un concorso canoro in quanto rischia di essere buttata fuori perché quando ha aperto bocca sono caduti morti a terra gli uccelli del cielo

Si può. Con la forza dei social, si può. Si può anche seguire un processo penale o civile da casa e condannare o assolvere il sospettato, l'indiziato, l'imputato. Possiamo anche condannare l'innocente e assolvere il colpevole. 
Si può. 

APPELLO FINALE 

Mi rivolgo a te singolo, adesso. Proprio a te, che stai leggendo queste ultimissime righe contribuendo ad aumentare il numero di visualizzazioni di questo mio personale blog: vota e fai votare! Non costa niente e un mi piace non si nega a nessuno. Specialmente agli amici bisognosi e vincenti

Raimondo Moncada  

giovedì 8 gennaio 2015

Una preghiera semplice per la libertà di satira

Dio, ferma e punisci i violenti, i fanatici assassini, chi ci toglie o ci vuol togliere il sorriso, chi fa del male anche in nome tuo, soprattutto in nome tuo. E fai sentire al mondo la tua bella risata. 

Dai! Fammela sentire! In nome della satira, in nome della vita, dono prezioso e unico che nessuno ha il diritto di toglierci, che nessuno ha il diritto di terrorizzare. 

Sì, fallo sentire a tutti che ridi, grandi e piccoli. Fai rimbalzare l'ilare eco in ogni continente, in ogni paese sperduto, tra le alte vette delle montagne, negli abissi degli oceani, nello sperduto confine dell'universo, dentro quei crani dove alligna la cieca follia. 

Stordiscici con la tua risata. Fai suonare e risuonare i nostri timpani a festa. Facci diventare per un attimo sordi come le campane. Contagia l'intera umanità con la tua divina risata, colpendo tutti, ma proprio tutti, senza distinzione di razza, di religione, di cultura, di ceto, di colore dei capelli, di numero di scarpe, di intelligenza, di stupidità. Contagia soprattutto chi non vuol ridere o non riesce a ridere. Colpisci prima me, mi raccomando, quando in quei momenti di malinconia ho il muso lungo e quando mi guardo allo specchio si rompe. Amen.  

Ascolti?
È una preghiera.  

Certo che, se non dovessi esistere, alla fine di tutto ci sarebbe solo da ridere. 

Raimondo Moncada 

tratto dal blog www.raimondomoncada.blogspot.it 

martedì 6 gennaio 2015

Piacere e piacersi, non piacere e non piacersi

Per piacere. Non a tutti possiamo piacere. Piaci ad alcuni e non piaci ad altri. Piacere a tutti sarebbe il massimo del piacere. Ci puntiamo.  Ma non ci riusciamo. 

Nessuno ci riesce. Ne ho ogni giorno la conferma. Neanche le star, neanche i cervelloni, neanche i capipopolo, neanche i santi. Solo i dittatori piacciono palesemente a tutti, per legge, all'unanimità, per convinta alzata di mano seguita da scene di giubilo popolare in piazza (chi esprime contrarietà viene adeguatamente perdonato). 

C'è chi sta male all'idea di non piacere a tutti. Se si concentra oltre misura impazzisce, si perde di vista, perde pure di vista coloro a cui comunque piace, perde di vista la retta rotta. 
Sembra una legge di natura: impossibile piacere dittatorialmente a tutti in una situazione non dittatoriale. Non possiamo, quindi, vivere per piacere a tutti. Provare a piacere a tutti fa soffrire. Si va comunque contro natura. 

Se già piacciamo ad alcuni (anche pochi, anche uno/a) per come siamo, rischiamo di non piacergli più se rompiamo la retta rotta, se ci sforziamo di essere non come siamo per natura ma come ci vorrebbero coloro a cui adesso non piacciamo. 

È così. Lo capisco. Per esperienza personale. 
Anche io mi sono rifiutato per tanti anni. Non mi piacevo. E più non mi piacevo e più mi rimproveravo. Poi ho imparato a capire, a capirmi e a piacermi. Lentamente. Ho imparato ad accettare quello che ero, come ero, con gli angoli, le ruvidezze, le lacune, le mancanze, l'ignoranza, i brufoli, le stempiature, i peli, la bassezza, la timidezza, le paure. 
Mi ha fatto così tanto piacere piacermi (e farmi piacere le cose che già ad alcuni piacevano) che col tempo molte cose sono cambiate. 
Certo ci sono aspetti di me che ancora non mi piacciono e che cambierei subito. Così come mi piacerebbe che il cane del vicino smettesse di abbaiare, smettesse di mostrarmi i denti tutti sani e aguzzi (tanto diversi dai miei: non ho i canini). 

Col tempo succederà. Non posso costringere il cane a non abbaiare con lo schiocco delle dita o brandendo un bastone o mostrandogli una bistecca fumante e poi farla mangiare a un gatto randagio. Glielo grido: Stai zitto! Zitto! Non mi piace quando abbai!". Più glielo ripeto, mostrandogli la mia dentatura senza canini, e più mi abbaia. 

Imparerà. Imparerò. Ci conosceremo meglio. Ci capiremo. Ci piaceremo. So che ci vogliamo bene. Lui imparerà da me, io da lui. Un giorno abbaieremo assieme. Alla luna. 
Buon Natale. 

Raimondo Moncada 

tratto dal blog www.raimondomoncada.blogspot.it 

lunedì 5 gennaio 2015

La parola del silenzio

La parola. 

Avere la parola. 

E decidere
 
se stare in silenzio 

ad ascoltare


chi parla

senza parole.

Raimondo Moncada

tratto dal blog www.raimondomoncada.blogspot.it 

domenica 4 gennaio 2015

"Il giorno della cilecca", una favola in chiave moderna

“Una favola in chiave moderna, con una morale profonda e significativa. Un libro alquanto interessante e che ritengo possa solleticare la vostra mente, facendovi divertire e riflettere allo stesso tempo”. E’ un brano della recensione del blog letterario “Ebbrezza della Cultura” sul romanzo Mafia Ridens (ovvero il giorno della cilecca), di Raimondo Moncada, edito da Dario Flaccovio Editore

La nota critica va il cuore del romanzo, entra nella psicologia del suo protagonista, Calogerino, che con “la sua evidente idiozia”, “bruttarello e insignificante, senza alcuna vita sociale”, “si ficca in testa di dover essere ‘Marlon Brando Corleone’, unendo la figura dell'attore e del personaggio, in un'unica figura mitologica, simbolo del successo e del potere e quindi della sua ipotetica ascesa sociale”.

“Quello che sin da subito si può intuire, - scrive l’Ebbrezza della Cultura – è l'ironia che serpeggia all'interno di tutta la vicenda, che porta il lettore a sorridere immediatamente dei penosi tentativi di Calogerino di diventare un temibile criminale”. 

“Nella figura di Calogerino – si dice - si potrebbe quasi trovare un nuovo modello di eroe della letteratura moderna, che dopo aver fatto tutto il possibile per elevarsi nella scala sociale del crimine, senza ottenere alcun successo, subirà un'importante evoluzione caratteriale”. 

“La sua battaglia per ottenere il rispetto tanto ambito – continua la recensione – non potrà che risolversi in una serie di grotteschi e divertenti situazioni che susciteranno nel lettore l'ammirazione per la testardaggine del protagonista nel continuare a tentare e fallire”. 


Lo stile di Moncada – scrive l’Ebbrezza della Cultura – è pulito, chiaro, semplice, che non fa tanti giri di parole ma ci porta direttamente nel vivo dell'azione. I personaggi vengono descritti tramite aneddoti brevi, incisivi e divertenti, dandoci l'impressione di poterli quasi vedere davanti ai nostri occhi. Notevole è la commistione tra un linguaggio colloquiale, che possiamo intuire derivante dalle sue esperienze teatrali e il ritmo veloce e accattivante di un racconto di stampo comico. Tutta la vicenda è intrisa di un umorismo puro che viene maggiormente evidenziato grazie all'uso di termini dialettali e un tono quasi confidenziale, come se l'autore volesse raccontare personalmente ad ogni lettore le avventure di Calogerino, lasciandoci riflettere sulle loro implicazioni metaforiche, sociologiche e psicologiche”. 

Il blog del libro www.mafiaridens.blogspot.it 

Il teatro del sesso nella Magnaccia Grecia

Ad Agrigendo (così come in do la chiamavano gli antichi agrigendini) si cerca ancora il teatro greco, quello degli attori grechi (antica idiomatica dizione) e delle tragedie greche. E la cosa bella è che non sono i greci (o i grechi) a cercarlo ma gli agrigendini. “È qui!”, “No! Non è qui, ma è lì!”, “Scaviamo un po' più in là…”. 

Tempo sprecato. È già tutto nobilmente scoperto. Ed essendo tutto nobilmente scoperto è nudo come il re e come le mani quando sono impegnate negli scavi di una certa difficoltà.

Nessuno che si impegni a valorizzare un luogo, un sito, un topos (al maschile) che è stato teatro non di tragedie ma di piaceri a tinchjtè (forza ddrocu!) come hanno testimoniato gli intenditori di intese. In questo teatro, operava con sommo diletto la Divina Giumenta, le cui sacre rappresentazioni e le finali ovazioni (da ovos, ovis, ovas) sono minuziosamente descritte nell'opera omnia "Dal Partenone diAtene al Putthanone di Akràgas" dello studioso di studi intramontabili Raimondo Moncada. 


Un'opera piacevole perché fonte di immani piaceri venuta fuori dopo leopardiani sudati studi sudati in quel tempio indicato dal dito sbagliato della storia come casa (home in inglese) della dea Giunone. In quella stessa casa (house in inglese, casa in agrigendino), nella mitica alcova di piaceri universalmente ricercati come il pelo nell'uovo (ova, ova, ova, nella declinazione agrigendina), veniva di volta in volta siglata la celebre "pax populi pax dei". I nemici appaganti diventavano amici per la vita e non si faceva più la guerra per la morte.

L'amore attirava allora flussi turistici da ogni dove e con chicchessia: con le mule, con le asinelle, con le cavalle, con le zattere, con le canoe, con le caravelle, con i motopesca, con le navi crociera, con le scarpe, con gli zoccoli. Ogni mezzo era buono pur di cantare in Akràgas l'inno alla gioia.

In un eccezionale frammento di un eccezionale reperto archeologico di una eccezionale insegna inviata al Putthanonesk Center’s Love of London of British of Europe per gli approfondimenti del caso, per caso è scritto: "E’ nnutuli ca ti movi: piaci a tutti, puru a cu dici: a mia nun mi piaci" (NdR: “è inutile che ti dimeni: piace a tutti, piace finanche a chi afferma: a me mi non mi piace e a teti non ti deve piacere”).

L'ebook su Bookrepublik (cliccare come avrebbe fatto il Putthanone)


Post preso a mani nude dal sito web ufficiale del Putthanone di Akràgas: www.divinagiumenta.blogspot.it   

Foto del teatro tratta da Wikipedia

I fantasmi social sono su Facebook e Twitter

Credo nei fantasmi. Almeno a quelli social. Esistono su Facebook, così come esistono su Twitter. 
C'è da avere paura? Non lo so. 

Ragioniamo con la nostra ragione e non con quella degli altri. Analizziamo il fenomeno ectoplasmatico che teniamo d'occhio da un po'. 
Ci sono in giro utenti senza voce e senza sostanza virtuale. Sono persone in carne e ossa, vere e non fake, che un giorno decidono di aprirsi un account per socializzare. I motivi sono i più disparati: per provare, per avere compagnia, per stare assieme ad altri, per ritrovare un parente o un amico lontano, per comunicare con i propri clienti, per pubblicizzare la propria attività artistica professionale commerciale; per sostenere un'idea, un partito; per fare campagna elettorale; per distruggere le idee degli altri; per criticare persone, status, fatti, eventi; per scaricare veleno; per trovare conforto; per trovare un amore, per trovare un marito o una moglie; per tradire il marito o la moglie; per promuovere un libro, un cd, uno spettacolo; per scherzare, per dire che tempo fa; per esprimere il proprio stato d'animo; per lamentare il proprio disagio; per prendersela col governante di turno; per scambiarsi opinioni, punti di vista; per discutere; per condividere; per litigare e per mandarsi a quel paese. 

C'è chi si apre un account, chiede l'amicizia ma non fa niente di una delle attività sopra elencate. È morta? Deceduta? Andata? Dipartita? Sciolta? No! Fa semplicemente il fantasma. C'è, ma non si vede. Partecipa alle discussioni leggendole. Il fantasma sa tutto di tutti. Non lo vediamo. Ma ne avvertiamo la presenza. Aleggia. Al primo spiffero fantasmagorico, andiamo a cercarlo nel suo account e ci sembra privo di sostanza virtuale perché non scrive niente, non linka nulla. Ma c'è. Sai che c'è. E ne hai conferma. Quando ti capita di incontrarlo per caso  nella vita, in carne e ossa, col sangue caldo caldo in circolo, gli scappa qualche commento rivelatore.

I fantasmi non sono tutti uguali. C'è chi lo fa vita natural durante, per sempre. Chi invece a tempo determinato. Il fantasma a tempo ogni tanto resuscita e mette un "mi piace" o linka qualcosa. Su Twitter retwitta o mette la frase o la foto tra i propri preferiti. Non c'è nulla di male. I social sono pubblici. Sono nati per mostrarsi e condividere. C'è chi lo fa e chi non lo fa. In paradiso ci andremo tutti. Passando per l'Inferno social. 

Anche io di tanto in tanto sparisco. Dopo qualche giorno di assenza mi danno per morto. Mi bussano pure sulla bara virtuale: "Raimondo dove sei? Se ci sei batti un colpo!"
E, come in una seduta spiritica, comincio a battere, ma non in strada. Batto il mio colpo riprendendo a scrivere, a rendermi vivo, a marcare la mia presenza con quello che lo spirito del momento mi detta. In punta di piedi. Senza scarpe. Mettendo a nudo il mio animo, senza vergogna. Mettendoci la faccia, quella mia. Spremendomi il cervello, quello mio. Condividendo. Lasciando le mie impronte, svestendomi del mio ectoplasmatico lenzuolo. 

Raimondo Moncada 


tratto dal blog www.raimondomoncada.blogspot.it 

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